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Ricordando Pino Daniele: “Nero a Metà”(1980) tra Napoli e il blues

Pino DanielePino DanieleSi è spento la sera del 4 Gennaio a 59 anni, stroncato da un infarto, uno dei più grandi cantautori italiani di tutti i tempi: Pino Daniele. Il popolare blues-man partenopeo da tempo soffriva di problemi cardiaci. Vani i tentativi di rianimazione dopo essere stato portato dalla sua casa in Toscana fino all’ospedale S.Eugenio di Roma. I funerali si sono svolti in due tappe: la mattina del 7 Gennaio al Santuario della Madonna del Divino Amore a Roma e la sera in Piazza del Plebiscito nella sua Napoli.

Ci va di ricordarlo con uno dei suoi lavori più riusciti, “Nero a Metà”(1980), intitolato così in onore al soul-singer Mario Musella,nato da madre napoletana e padre nativo americano (per via della guerra), leader degli Showmen, scomparso l’anno prima. Siamo a inizio anni ’80 e Pino Daniele ha già all’attivo 2 ottimi album, “Terra Mia”(1977) e l’omonimo del 1979, oltre che varie esperienze nel gruppo jazz-rock Batracomiomachia e come bassista dei Napoli Centrale di James Senese, con cui collaborerà per questo disco e a più riprese durante la carriera solista.

Nel 1980 il cantautore napoletano dà alle stampe il suo capolavoro in cui il risultato è una sorprendente miscela di blues, soul, funk, jazz, rock con tradizione partenopea, 12 brani ricchi di creatività. Pino mostra doti chitarristiche fuori dal comune coadiuvato anche da ottimi musicisti come Ernesto Vitolo (tastiere), Agostino Marangolo, Mauro Spina (batteria), James Senese (sax tenore), Gigi De Rienzo, Aldo Mercurio (basso), Tony Cercola, Karl Potter, Rosario Jermano (percussioni).

Tra i pezzi più belli del disco meritano di essere segnalati “I Say I’ Sto’ Ccà”, impreziosita dall’armonica di Bruno De Filippi e il sanguigno rhythm ‘n blues di “Musica Musica” col sax di Senese, ma non sono da meno brani come l’intimista e poetica “QuannoChiove” e il breve flamenco di “Appocundria” con un ottimo solo di chitarra classica.

Notevoli anche la rockeggiante “Puozzepassà nu guaio” e il funk al fulmicotone di “A me me piace o’ blues” con i cori dell’ottimo Enzo Avitabile nel finale e in cui Pino, pur dichiarando la sua anima black non dimentica le sue origini come afferma nei versi: “Ma po’ nce resta o mare e a pacienza e supportà / a gente ca cammina mmiezz’ a via pèsbraità / i vengo appriess’ a te sai che so’ nato a ccà sai che so’ niro ma nun te pozzo lassà……”

Più jazzata e suggestiva è invece “Alleria”, mentre ritmi brasileiri e mediterranei vengono fusi alla perfezione nella finale “Sotto o’ sole”, con lo scat del cantautore degno del miglior Al Jarreau. Per il resto tanto blues egroove in un lavoro che col tempo si è ritagliato il suo spazio tra i migliori dischi italiani, forte anche della sua capacità di portare la tradizione partenopea in una nuova dimensione spazio-temporale, il tutto grazie ai migliori musicisti dell’area napoletana, tutti dotati di una carica black fuori dal comune.

Con la sua scomparsa Napoli e la musica italiana in generale perdono un grande artista, un grande innovatore capace di dare al suono partenopeo quel tocco di internazionalità in più, grazie anche alle sue varie collaborazioni con musicisti dell’ambito soul, jazz e blues del calibro di Richie Havens (di cui ha prodotto l’album “Common Ground” del 1983), PatMetheny, WayneShorter, Alphonso Johnson, Randy Crawford, Eric Clapton e tantissimi altri. Ci fa comunque piacere pensare che la sua arte e i suoi arrangiamenti resteranno nella storia della musica italiana e che le sue canzoni risultano attuali a distanza di tanto tempo in quanto ha saputo cantare i pregi, i difetti e le problematiche della sua Napoli ma anche di tutto il Sud in generale attraverso una musica genuina e carica di sentimento.

Ciao Pino e grazie mille per le grandi emozioni che ci hai regalato!

Francesco Favano