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Achille Bonifacio: un sobrio e raffinato intellettuale

Achille BonifacioAchille BonifacioSapevo già da tempo del suo stato precario di salute ed ero tenuto al corrente periodicamente da lui stesso, nelle conversazioni telefoniche. Conoscevo il professore Achille Bonifacio da sempre, abitando a pochi metri di distanza, quando ancora eravamo entrambi alla Bajetta, a due passi dalla Fiumara, di cui ha ricordato, in alcune sue liriche in vernacolo bagnarese, il fascino dei suoni delle sue antiche acque, il suo ponte di legno e i mille giochi che vi facevamo da ragazzi. Ma la conoscenza vera è cominciata, per entrambi, quando eravamo al Liceo di Reggio Calabria: quel noto e temibile Istituto che era il “Leonardo da Vinci”.
Essendo entrambi iscritti alla sezione A, anche se”Lillo” mi precedeva di due anni per l’età, abbiamo studiato con gli stessi docenti per tutto il corso. E, spesso, oramai universitari ed anche dopo, nel corso dei decenni, negli incontri casuali amabilmente discutevamo anche di quei “vecchi” professori”: da Costabile (filosofia) a Bella (matematica) alla Trigiani (francese), a Di Bella (latino) ecc., dei quali ancora conservavamo ricordi positivi; e verso cui, anche a distanza di parecchi decenni, nutrivamo nel nostro animo e nella nostra mente la gratitudine per ciò che ci avevano insegnato, sia dal lato prettamente scolastico, sia dal lato relazionale con cui si rapportavano con gli studenti. Ricordo, quando cominciai il triennio, che era il percorso più duro e più temuto da tutti noi, d’avergli chiesto dei consigli per potere conoscere le metodologie di come, “quelli”, spiegassero e, cosa più importante, di come interrogassero. E ricordo la serietà, la disponibilità, senza enfasi, delle sue raccomandazioni. E, così, ne feci tesoro fino all’ultimo anno. Aveva un animo che non sapeva tenere rancore, non era un parolaio, non un opportunista. Condividevo la sua schietta sincerità nel dire e la coerenza nel fare; e altrettanto riceveva da me. Lui, Lillo, figlio del popolo; pure io, figlio del popolo. Estrazione proletaria per entrambi, ma con la voglia di sapere, di conoscere, con la determinazione di fare un salto di qualità, di contenuti conoscitivi e culturali che certamente il nostro stato sociale non ci avrebbe potuto permettere per andare al di là di certe aspettative. Con la sua passione, serietà e intelligenza riuscì a vincere l’ardua sfida liceale, conquistando un posto di primo piano tra i suoi compagni “cittadini” che non poterono non apprezzarlo. Ecco il valore aggiunto delle sue conquiste liceali: e sì, perché a quei tempi (anni ‘50/’60) era proprio una conquista il raggiungimento di un alto grado di formazione scolastica! Appassionato cultore di filosofia e di letteratura, negli anni seguenti, rasserenato dalle nuove condizioni lavorative, poté dedicarsi allo studio dei suoi amati interessi, quali la Letteratura e la Poesia. Oramai cittadino messinese, finì la sua attività come Sovrintendente per i Beni culturali ed ambientali della provincia di Messina, pubblicando alcuni suoi lavori in quell’ ambito.
Nel frattempo, i messinesi lo conobbero e lo stimarono anche come docente di Metodologia teologica presso l’Istituto “Ignatium” dei Padri Gesuiti, collegato con la Pontificia Università Gregoriana. Il professore Bonifacio era anche questo: un intellettuale che visse, sì a Bagnara per i primi venticinque anni, ma che lavorò e conquistò posizioni di prestigio in quel di Messina, di cui si sentiva a pieno diritto figlio adottivo. E, così, con la gioia di una famiglia ben nutrita, tre figli ed altrettanti nipotini, che erano per il suo animo un sostanzioso nutrimento affettivo per lui che purtroppo era cresciuto orfano di padre e con la sola mamma, si dedicò al suo antico amore verso la Poesia, pubblicando nel 2010, il suo ultimo Poema nella struttura metrica che più amava, gli endecasillabi: “Una Donna vestita di sole”. E’ un excursus che praticamente abbraccia tutta la sequenza biblica: da Adamo fino alla nascita, morte e redenzione di Gesù, mettendo in luce la figura della madre Maria nel contesto della Chiesa primitiva, per giungere fino ai giorni nostri. Era un cattolico cosciente, convinto, praticante come pochi altri suoi coetanei, e non ebbe mai riserve a testimoniare la sua fede consapevole. Anche se in questo eravamo distanti, per le mie diverse convinzioni , ugualmente apprezzavamo discutere anche di Teologia, nelle rare occasioni d’incontro. L’ho sempre ammirato per la coerenza tra idee e testimonianze di fede. In una fase della sua vita ebbe la voglia di scrivere in vernacolo bagnarese, con due libri di Liriche, di cui l’ultimo: “ ‘Â parábbula”, sempre in endecasillabi. E, proprio su quest’ultimo suo lavoro, da un anno avevo intrapreso con lui un discorso d’interesse reciproco sul dialetto bagnarese, invitandolo a scrivere ancora.
Ma le condizioni di salute, oramai, non gli consentivano più di dedicarvisi come avrebbe voluto. Voglio chiudere, con le sue parole, trascrivendo alcuni versi de “ ‘Â parábbula”, sul suo amato Paese: “Esti particulari p’ê bellizzi,/ p’â storia r’û populu, Bagnara/ ‘Î supra è cingïatu r’â muntagna/ sempri virdi, c’â ‘Ddora e Santu Luca…/ Rundi cala ‘â ħjumara chi si lagna/ perchì cimentu sulu orma’ si ‘ zzuca/ ‘ê lavandari i peri ‘ċċhjù no ‘vvagna/”.
 
Pasquale Stillitano