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Antonio Centelles, un Conte spagnolo-catalano nella storia della Motta San Giovanni

L - mL - mStudiando ed analizzando la storia di Motta San Giovanni e del suo territorio, più volte è stato sottolineato che la documentazione, soprattutto quella d’archivio, ha evidenziato la strategicità di questo territorio, non solo sotto il profilo geografico, cosa che appare scontata, ma anche sotto il profilo economico-produttivo.

I numerosi atti di compravendita che sono stati studiati, hanno documentato come, soprattutto durante il XVI secolo, nel possesso feudale di Motta San Giovanni e delle terre che afferivano al suo territorio, si succedettero, nell’arco di breve tempo, importanti e facoltose famiglie: i Minutolo nel 1561, i Marquett nel 1565 e i Villadicane nel 1576.

Anche relativamente alla storia del XVII secolo, i documenti d’archivio sottolineano l’acquisizione di questo territorio da parte di famiglie benestanti con l’intento preciso di fruttarne le sue qualità con finalità economico-produttive e commerciali. Infatti nel 1605 Motta diventerà di proprietà della famiglia messinese degli Ioppolo che solo dopo poco tempo la perse per requisizione da parte del Sacro Regio Consiglio e successivamente divenne proprietà dei Ruffo di Bagnara fino al 1806 momento in cui fu emanata la legge sull’eversione della feudalità.

Ma riesaminando la storia precedente al XVI e al XVII secolo, è possibile notare che, anche se non con la stessa frequenza, il territorio mottese subì vari passaggi; ceduto di mano in mano e più volte infeudato.

Un anno molto importante per la storia mottese fu sicuramente il 1434 come viene riportato in un atto d’archivio il quale rileva che Niccolò Ruffo, figlio di Antonello Ruffo conte di Catanzaro, e proprietario dei possedimenti di San Niceto, muore. Lo stesso atto documenta inoltre che la figlia dello stesso Niccolò, la primogenita Giovanna ereditò i beni del padre e tra questi anche il territorio mottese ma che, una volta deceduta questa senza lasciare eredi, nel 1436, il medesimo patrimonio passò in proprietà dell’ultimogenita Enrichetta, prossima sposa proprio di un tal Antonio Centelles il quale, di conseguenza, ereditò il grande feudo indicato ancora una volta, con la denominazione di “Baronia di Santo Niceto con le terre di Motta San Giovanni e Montebello”.

Come i documenti attestano, nel giro di breve tempo, il territorio mottese fu requisito al pari di tutti gli altri possedimenti ereditati da Enrichetta successivamente al matrimonio con Antonio Centelles, da Alfonso il Magnanimo che si era impadronito del Regno di Napoli.

Nel 1466 Re Ferrante d’Aragona ratificò una serie di disposizioni sia per Motta San Giovanni che per Montebello che consistevano nel mantenimento della demanialità, in una serie di sgravi fiscali, nella conferma di privilegi e nel mantenimento del precedente rettore del continuo possesso del monastero di San Giovanni Teologo.

Fu questo preciso momento storico che segnò una fase molto importane per la storia oltre che sociale, anche politica di questi territori. Infatti nell’autunno del 1465 era definitivamente capitolato San Niceto e con lui la sua baronia e Motta sarà nelle vicende storiche a venire, indipendente da Montebello il cui feudo appare di proprietà della famiglia Abenavolo/Abenavoli.

Ma chi è Antonio Centelles turbolento conte di Catanzaro, marchese di Crotone, conte di Belcastro, conte di Collesano, barone di Cropani e signore dei territori della “Baronia di Santo Niceto con le terre di Motta San Giovanni e Montebello”?

La Famiglia Centelles fu una nobile famiglia di origine spagnola di stirpe ducale che ebbe importanti collegamenti con la Sicilia. Antonio era figlio di Gilberto de Centelles. Il giovane rampollo seguì nelle sue imprese re Martino I dalla Catalogna alla Sicilia.

Inizialmente sostenne la politica del Re Alfonso V d'Aragona, con cui condivise anche la prigionia a Milano. Nominato camerlengo della corte sovrana, ebbe nel 1437 la carica di viceré della Calabria, compito a cui assolse egregiamente.

Sposò in seconde nozze nel 1439, l’ultimogenita di Niccolò Ruffo, Enrichetta con la quale ereditò la Baronia di Santo Niceto con le terre di Motta San Giovanni e Montebello.

Nel 1449 fu inviato a Cantù da Francesco Sforza signore di Milano. Nel gennaio del 1450 venne sconfitto, nel corso di due cruenti scontri con i Veneziani. Fu accusato di tradimento e di cospirazione e per tal motivo venne fatto imprigionare dallo stesso Francesco Sforza prima a Lodi e successivamente fu trasferito poi nel castello di Pavia da dove ottenne la libertà per volere del re Alfonso.

Morto Alfonso d’Aragona, Antonio, fu accusato nuovamente di cospirazione e di tramare contro l’erede al trono Ferrante d'Aragona con l’intento di dare la successione al Principe di Viana. Anche se tale disegno cospirativo fallì, Antonio fu costretto a chiedere aiuto e ospitalità al Principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, il quale ottenne dal Re la restituzione dei feudi al Centelles.

Il Marchese, poco fiducioso nelle promesse reali, si trasferì però in Calabria da dove organizzò una nuova rivolta anche in questo caso per nulla fortunata. Infatti Antonio Centelles con tutti i suoi seguaci furono più volte sconfitti nel corso di scontri in alcuni casi anche sanguinosi. Il Re decise allora di giungere in Calabria dove bruciare Castiglione, evento che determinò la resa finale dei baroni e dei paesi che seguivano il Centelles. A causa di ciò, il Marchese si presentò presso il Campo del Piano del Lago, tra Cosenza e Nicastro, dove si trovava il Re; inizialmente vi fu bene accolto ma dopo tre giorni fu arrestato e tradotto nei castelli di Martirano e di Cosenza per finire poi a Napoli nella prigione di Castelnuovo da dove riuscì ad evadere il 23 aprile 1460. Una volta libero decise di dirigersi verso Marigliano andando così incontro agli Angioini che stavano combattendo proprio con gli Aragonesi. Da qui si diresse poi in Puglia con l’intento di ritornare in Calabria per seminare nuovamente ribellione senza tuttavia successo.

Da questo momento in avanti Antonio Centelles fu al servizio degli Aragonesi al fianco del Duca di Calabria, partecipando all'assedio della Motta Rossa e ancora al campo di Fiumara dove il Duca gli affidò il comando supremo dell'esercitò.

Nel 1465 la figlia Polissena sposò Enrico d'Aragona, marchese di Gerace e figlio naturale del Re. Poco dopo il matrimonio, forse per essere tornato a cospirare contro gli Aragonesi, fu fatto arrestare a Santa Severina dallo stesso genero e venne detenuto in Castelnuovo e da questo momento in poi non si ebbero più sue notizie.

Prof. Saverio Verduci