Venerdi', 19 Aprile 2024
 
    Instagram         
 
Logo Unieuro Bagnara Calabra
 
Festa della Costa ViolaBacco - Def 

Un inno di gioia nella Bagnara di fine secolo XIX

F. SpoletiF. Spoletidi Tito Puntillo

INTRODUZIONE

Una decina di anni fa, mi trovavo a Napoli per lavoro e come usavo sempre, terminata la giornata professionale mi concedevo una amena passeggiata lungo le vie della vecchia nostra Capitale, in compagnia dell’inseparabile amico Corrado Guglielmi.

In quel tardo pomeriggio la nostra passeggiata ci avrebbe condotto a San Domenico Maggiore, la gloriosa Basilica tuffata nella vecchia Napoli, che ospita le monumentali sepolture di alcune Famiglie della Nobiltà Meridionale di sangue e di spada. Ci attendeva ivi il cav. Luigi Vallefuoco, all’epoca uno dei referenti della Biblioteca Nazionale Universitaria “Federico II”. Obiettivo: la visita alla sepoltura del Cardinale Don Fabrizio Ruffo-Bagnara, del Ramo cadetto dei Duchi di Baranello & Marchesato di San Lucido.

I testi da me consultati, riferivano che avremmo trovata la sepoltura all’interno della Cappella intitolata a Santa Caterina d’Alessandria, e insignorita con le sepolture delle Famiglie Tomacelli e Ruffo-Bagnara, fra loro legate da affetto fin dal tempo della fondazione del Convento annesso alla Chiesa di San Giuseppe dei Ruffi, voluto da Caterina Tomacelli e Caterina Ruffo-Bagnara.[1]

Fu una serata di approfondimento e cultura nella vecchia Napoli, fra tre amici appassionati di quanto concerne la nostra amata, vecchia ma nei nostri cuori ancora viva e vera, Capitale dei Meridionali sparsi nel mondo.

Percorrevamo uno dei vicoli lastricati sul quale s’affacciano le antiche botteghe dei librai antiquari ed io stavo attento perché cercavo libri dei vecchi Editori Napoletani dell’Ottocento, tanto amati dagli studiosi di argomenti meridionali.

In genere i vecchi librai tengono in un canto pile di “saggi di stampa” o “estratti” e trattatelli, che in genere gli Autori si facevano stampare per mandarli ai tanti “opinion leader” sparsi per l’Italia. Era la prima attività che si faceva entrando in una libreria antiquaria, quella di spulciare con pazienza le pile di “saggi di stampa”; in genere si trovava materiale molto interessante, altrimenti irreperibile!

Fu così che casualmente trovai, fra un fascio di opuscoli assiemati in una carpetta coi lacci, un piccolo pamphlet di Francesco Spoleti, una scoperta che mi procurò un piacevole tuffo al cuore.

Si trattava di: FRANCESCO SPOLETI, Il varo d’Angiola. Inno, Stab. Tipografico Pierro e Veraldi nell’Istituto Casanova, Napoli 1899.

Un Editore prestigioso per un Autore Bagnarese che è un mito storico di Bagnara, purtroppo noto a pochissimi Bagnaroti; un Personaggio con una vasta e qualificata produzione letteraria.

Avvocato, letterato, commediografo, possidente, appartenente a una prestigiosa Famiglia di valenti Bagnaresi, Francesco Spoleti condusse vita intensa fra Bagnara, Roma e Napoli a cavallo fra il XIX e il XX secolo.

La famiglia era una delle più prestigiose di Bagnara e dell’intera Regione; una stirpe di medici, giuristi e professionisti nelle discipline tecniche, con nucleo centrale proprio a Bagnara, da dove Don Francesco amministrava i beni di famiglia, disseminati sull’Altopiano fra Pellegrina, Solano e Oppido e tutti valorizzati in attività diverse: allevamento, vigne, uliveti e agrumeti.

Come la maggior parte delle famiglie borghesi del tempo a Bagnara, gli Spoleti emergevano per lo spessore culturale, la splendida educazione e raffinatezza dei modi e gusti e quindi il posto elevato nel quale si collocarono all’interno della Classe Dirigente Meridionale.

[1] La Chiesa di San Giuseppe dei Ruffi è parte integrante del grande Monastero del 1604, alla cui fondazione partecipò, oltre a Caterina Tomacelli e Caterina Ruffo, anche Cassandra Caracciolo. Le tre fanciulle ivi si monacarono sotto il titolo e la regola agostiniana. All’interno della Chiesa è collocata la sepoltura di Frà Don Fabrizio Ruffo Priore di Bagnara e Gran Priore di Capua, Generale delle galee da guerra dei Cavalieri di Malta, difensori della Sacra Religione. Fece parte dei «Trenta Cavalieri» che il Conte di Ognatte, Viceré a Napoli nel 1640, nominò come Guardia Personale di Don Giovanni d’Austria acquartierato alla periferia di Napoli durante i moti masanelliani. (cfr: TITO PUNTILLO – ENZO BARILA’, Civiltà dello Stretto. Politica, economia, società dello Stretto di Messina dalle origini al XVIII secolo, Periferia ed., Cosenza 1993, pg. 105 sgg.). La Cappella di Bagnara in San Domenico Maggiore ospita anche la sepoltura di Donna Ippolita Ruffo che ne volle il restauro. I Tomacelli e i Ruffo della Casa Ducale di Bagnara, erano legati da profonda amicizia e soprattutto le giovani Caterine, erano inseparabili ed entrambe legate al culto della grande Santa Caterina d’Alessandria, vergine e martire. San Domenico Maggiore fu restaurata e restituita all’attuale splendore per merito di Frà Tommaso Ruffo dei Duchi di Bagnara, poi Emerito (e ancora oggi indimenticato) Arcivescovo di Bari (ma sconosciuto nella sua Bagnara!), in odore di beatificazione con causa ancora in corso (su questi argomenti cfr.: TITO PUNTILLO, Frà Tommaso Ruffo Arcivescovo di Bari, Splendore di Bagnara, in Academia.edu - sito web e testo scaricabile - con le fotografie della Cappella di Santa Caterina e l’insieme della Basilica di San Domenico Maggiore).

Francesco SpoletiFrancesco SpoletiQuesti concetti sono radicati e veri poiché non vi è scritto di Francesco Spoleti che non richiami la condizione precaria del mondo salariale, del lavoro meridionale e i modi e usi arcaici della società contadina che egli condanna additando l’assenza di occasioni, strumenti e taglio deciso da parte della Funzione Pubblica, della Scuola e della Chiesa, per il miglioramento sociale ed economico della Calabria.

Benefattore in segreto a favore di molte famiglie poverissime, Francesco Spoleti fu amato dai suoi contadini e ammirato dai Bagnaroti, per il suo guardaroba sempre alla moda, indossato con “non-chalance” da cittadino evoluto nonché il portamento aristocratico ancorché fosse egli personaggio alla mano e disponibile al dialogo con tutti. Fu nel 1900 fra i promotori e i finanziatori del progetto della Beata Suor Maria Brigida Postorino per l’apertura di un collegio/educandato femminile nell’ex Convento dei Cappuccini di Porelli, poi dedicato a Santa Maria degli Angeli dopo la delibera comunale che autorizzò l’insediamento dell’Opera nei locali fino ad allora di proprietà municipale. Oggi il meraviglioso sito è in bassa fortuna.

Per il resto, si tenne lontano dalle beghe politiche del tempo concentrandosi sullo studio della realtà locale e la valorizzazione del lavoro dei suoi subalterni.

Nel 1899 Francesco Spoleti poté alla fine coronare un antico sogno che egli stesso definì “cavalcare le onde del mare”. Dopo non pochi problemi legati alle difficoltà di forniture di prodotti del Bosco di Solano e il rallentamento dei collegamenti commerciali con Messina, finalmente i cantieri navali dell’Arangiara di Bagnara, consegnarono all’entusiasta Spoleti la tanto agognata «lanzitta» e fu festa grande al Circolo Unione, in casa Spoleti e poi sulla spiaggia ove la nuova piccola meraviglia dei Mastri Bagnaroti, spiccava per la candidezza dei colori e il luccichio dei finimenti e delle bordature. Gioia immensa che spinse Spoleti a comporre, quasi di getto, un «inno» dedicato al varo a mare della sua “Angiola” ma in realtà esteso alla gioia di vivere, di essere, di poter assorbire tutto il bello dell’Estate Bagnarese: dal profumo dell’aria alla canzone delle onde sul bagnasciuga e lo splendore della luce che Bagnara inondava, facendo oltremodo evidenziare i colori, i toni e la dolcezza delle linee che la natura aveva riservato a quell’angolo di paradiso. Un “sogno che non muore più” definirà il poeta tutto l’insieme.

Pubblicato a Napoli a cura del prestigioso Stabilimento Tipografico Pierro e Veraldi, su carta pergamenata con bordi sfogliati, la composizione fece rapidamente il giro dei salotti letterari della Provincia e venne apprezzata proprio per la gioia di vivere che emanava da quei versi slanciati e musicalmente concatenati, rimarcando altresì (per chi è abituato a leggere fra le righe opere del genere) la ripetuta affermazione della supremazia dell’uomo sugli elementi. L’uomo che è munito di fermo coraggio, determinazione e voglia di accettare le sfide, addomestica la Natura e i suoi elementi poiché egli si guarderà sempre dal violentarla e condurla fuori dalle regole stabilite dal Creatore per questa parte dell’Universo.

La forza intelligente dell’uomo dunque, adoperata «in sintonia» con gli elementi della natura.

Ancora negli Anni Cinquanta del Ventesimo Secolo, i Bagnaresi ricordavano quanto raccontato dalla precedente generazione su Francesco Spoleti e il suo Il varo d’Angiola, recitando a memoria le prime due quartine, restate famosissime e declamate con entusiasmo e passione quando i vecchi volevano rammentare i bei tempi di gioventù.

****

Il componimento si struttura in trentatré quartine delle quali la prima a rima baciata per il secondo terzo verso. Dalla seconda quartina in avanti segue la regola della rima alternata Non è chiaro il perché di questa distinzione, forse sfuggita al Poeta; egli si deve anche essere cimentato con la musicalità dei versi, ancorché il dodecasillabo non gli sia sempre riuscito. Malgrado queste limitazioni, la musicalità è piacevolmente accattivante. Lo stile della composizione si richiama alla moda dell’epoca, con timbri di tipo neoclassico, direi meglio alla Pindemonte, e quindi una esposizione sulla falsariga del Poema, che tanto fu apprezzato dal giovane Spoleti. La musicalità, come cennato, è sempre sostenuta. L’inno è dedicato “all’amico Luigi Barilà”, suo compagno di avventure e scorribande della gioventù felice della florida Bagnara. Nella riproduzione del testo, ho mantenuto rigorosamente la stesura originale, rettificando solo la punteggiatura e le maiuscole/minuscole di inizio verso e ciò al solo scopo di favorire la lettura scorrevole della composizione. Per consentire una migliore interpretazione soprattutto dei passaggi più elaborati, ho aggiunto delle note esplicative di sostegno, spero utili al lettore.

Tito Puntillo

VDVD

 

 

 

 

 

All’amico Luigi Barilà

Così, dopo l’attesa ed i tormenti

febrili del desìo[2], le visÏoni

di limpide costiere, e gli abbandoni

molli sul mar tranquillo in braccio ai venti

ecco la barca mia; piccola e lieve

agli amori dell’acque e dei coralli!

È più candida e intatta delle nevi

che il verno[3] aduna nelle fresche valli.

Fumiga il gelso, e per le resinose

volute il pino elaborato

esala un denso odor, come di cose

sane in un bosco verde e abbandonato.

Fumiga il gelso ancor, forse dolente

dell’opra dell’artefice gentile,

a cui l’idea sorrise nella mente

come ai poeti un sogno giovanile.[4]

E l’acque vanno, e il mar rompe con mite

sussurro i fianchi; crepita la prora

aguzza fra le due carene unite,

fiammante al sole della prima aurora.[5]

Semplice il varo. Un fiasco ed un pensiero

nudrito d’amistà, di fé profonda;

più dello stesso vin caldo e sincero

il nodo al remo infido, il patto all’onda![6]

Sia che sorrida nella verde ampiezza

dei pigri ozÎ d’està calmo il grecale,

sia che sgomenti nella sua fierezza

atroce, di nemico, il temporale[7]

gli occhi al destino, e valida la mano

alle scotte, così, che in un momento

non commuova il natìo lido lontano,

ma solo l’acre ebbrezza del cimento![8]

[2] … tomenti febrili del desìo: è l’impazienza dell’attesa

[3] Verno: Inverno. Le nevicate invernali concentrano nelle valli, “fresche” perché i raggi trasversali del sole le sfiorano solo, abbondanti tappeti di neve duratura.

[4] Fumiga … giovanile: vi è espresso l’accoppiamento fra il pino e il gelso: le resinose volute emanano dal pino e richiamano ai profumi del bosco più profondo e inesplorato (abbandonato);col legno di pino erano stati scolpiti gli accessori e i ricami a corredo della barca (il pino elaborato); lo scafo della barchetta era stato assemblato con tavole di gelso, trattate con la fumigazione per renderle meglio impermeabili. E il gelso pareva, dolente per questo trattamento attuato dal falegname (artefice) che tuttavia era stato in grado di lavorare il legno in modo perfetto (gentile) così come gli suggerirono l’esperienza e la maestria (l’idea che sorrise nella mente), e così come nei poeti interviene l’ispirazione (il sogno giovanile).

[5] È la descrizione della barchetta che naviga agile fra le onde, tagliate dalla prora che avanza e che poi si scostano con mite sussurro scivolando lungo i fianchi.

[6] nudrito: nutrito, alimentato. Amistà: è il sentimento di amicizia profonda, intimamente sentita. : fede. Questi sentimenti si esprimono, nel momento del varo, spontanei e sinceri con un effetto (appunto spontaneo e sincero) migliore di quello che provoca il vino, che scioglie i sentimenti introversi (vin caldo e sincero). Quindi si allaccia il nodo della corda attorno al remo, che altrimenti rischierebbe di sfuggire al rematore e perdersi fra le onde (remo infido), e quindi il patto, la parte finale del remo, appiattita e larga, può immergersi nell’onda per spingere la barca.

[7] Sia che sorrida … il temporale: è la contrapposizione fra il Greco, vento calmo che favorisce la bonaccia (pigri ozï) e (non espressamente citato) il Maestrale, che è atroce e tratta la costa come un nemico che sgomenta per la sua fierezza.

Lacustri sono i pallidi e tenaci

allettamenti in grembo alla bonaccia,

sfibrano i soli a lungo, e sono i baci

mortali, se mai rompe una minaccia![9]

Se mai sul viso umano non sfavilli

un senso d’odio, si disfà l’amore;

come se dentro a uman duolo non spilli

una lagrima mai, non è dolore![10]

Oh, per la notte cupa disperate

voci di naviganti al parapetto

della nave malferma, or che spezzate

le forti antenne e l’asta di trinchetto,[11]

il mar mugghiava sulle vostre vite!

Ditelo, voi, piloti, dalle teste

irte nel vento, e dalle incanutite

chiome, sacrate al Dio delle tempeste,[12]

qual sogno avvince più della passione

funesta? Quale mai sogno è più forte

di quel che lega un cuore ad un timone,

e una vita ideal fonde alla morte?

Semplice il varo! Nella mattinale

serenità pacifica del biondo[13]

Tirreno scese il canto inaugurale,

il brindisi festante! Il più giocondo

cielo ridea dall’alto, umile, come

partecipe della festa nuzïale.

Ebbe la barca un pio titolo, un nome:

«Angiola» un’eco di bontà natale![14]

[8] In tutte le condizioni climatiche descritte con la quartina precedente dunque, gli occhi resteranno fissi al risultato da raggiungere (gli occhi al destino) cioè il mantenimento della navigazione, che sarà garantita dalla corretta e sicura manovra degli strumenti di governo del natante (valida la mano alle scotte) ottenendo così la supremazia della navigazione. Essa consentirà così di non allontanarsi (non commuova) dalla costa (il natìo lido) concentrandosi sul cimento fra le onde e il navigatore, col risultato di cogliere e gustare l’acre ebbrezza causata dalla navigazione competitiva.

[9] È una delle quartine più elaborate. La bonaccia induce a rilassarsi (pallidi e tenaci allettamenti) e a lungo andare il rilassamento provocato dal sole si trasforma in abbandono fisico che sfibra la volontà ed essa così si trasforma in baci mortali, perché non sarebbe più in grado di reagire a improvvise minacce che gonfiano le onde nel volgere di pochi minuti.

[10] In questa quartina appare la contrapposizione fra odio e amore, nel senso che l’amore si percepisce vero e intenso se si conosce anche l’odio, perché altrimenti il solo amore si disfà. Quindi la comparazione di questa descrizione con l’altra condizione umana: se chi sente dolore (uman duolo) mai riesce a sfogarsi, magari con un pianto a dirotto (non spilli una lagrima mai), non può cogliere appieno il “significato” del dolore.

[11] I naviganti s’accostano terrorizzati (disperate voci) al parapetto della nave che diviene ingovernabile (malferma)

[12] … e il mare diviene minaccioso (mugghiava) per la vostra sicurezza. Sacrate al Dio della tempesta: i vostri capelli sono imbiancati (incanutite chiome) dopo vite dedicata al mare (sacrate al Dio delle tempeste che è poi Nettuno nella mitologia romana e greca).

[13] biondo Tirreno: il Poeta adopera il caratteristico aggettivo che qualifica l’osservazione come facente parte di un contesto pregno del “Bello”. Qui è la luminosità del cielo inondato dal sole, i riflessi chiari della rena perlacea e il calmo mare azzurro, che poeticamente caratterizzano il Tirreno.

[14] Il Poeta assegna alla barca il nome Angiola richiamandosi all’episodio dell’Annunciazione (eco di bontà natale).

E buona, e lieve, e spumeggiante a galla,

come sughero in contro alla marèa,

parve sull’acqua grigia[15] una farfalla

piccola e bianca. Tutto intorno ardea[16]

di muschi, madreperla, e di meduse

il mar profondo; sotto un velame

di nebbioline andavano diffuse

i cento effluvÎ d’alga e di catrame.[17]

Venite, o donne, al mar, venite al lido

ora che luglio, come disco irraggia

l’acque turchine, e l’elemento infido

lambe coi baci d’or tutta la spiaggia! [18]

Angiola è a mare. Calerò le lenze

come un amante i suoi baci all’amante; [19]

tra ricami di bronzo e trasparenze umide,

gitterò l’inno augurante

alla vita, all’amore, all’ideale,

alla vostra bellezza, alla virtù!

E, a poppa, mentre soffia il maestrale

Farò quel sogno che non muore più!

***

Dai banchi alti di sabbia, dalle arene[20]

calde, ove stanno a secco le paranze,

come un morbido canto di sirene

vengono a noi, per l’erme[21] lontananze

voci di gioia e squilli femminili,

e suoni di squisiti archi vibranti;

mille favelle armoniche, gentili,

come l’eco di mille anime erranti!

Vengono a noi dal garrulo cantiere,

ove ferve la santa opra canora,

[15] Si tratta di una distorsione descrittiva, sfuggita al Poeta o forse (e più probabile) un “escamotage” per evitare una interruzione di musicalità del verso. Ma allora perché non chiara?

[16] … ardea: anche questa è una definizione data con licenza poetica, badando cioè a fornire un efficace concetto sintetizzante dello scenario impetuoso descritto poi di seguito: muschi, madreperla e di meduse. Ma è un settore dell’Inno questo, che appare forzato e che il Poeta, nella felice foga di fare presto, non volle rivedere.

[17] … sotto un velame … e di catrame: il “velame di nebbioline” è la concentrazione di sostanze organiche, come le alghe, miscelate con gli scarti di combustibile, come il catrame, che si forma quando l’acqua viene miscelata con forza, per esempio dai remi. Da questa “nebbiolina” così smossa, si diffondevano (andavano diffuse) tutt’intorno gli odori d’alga e di catrame.

[18] L’elemento infido è il mare. Lambe è una troncatura poetica di “lambisce”. Qui le acque sono “turchine”, in contrasto con le acque “grigie” descritte nella quartina della farfalla. Una nota particolare va apposta a Luglio che è da intendersi “il sole di luglio”. Negli usi della Bagnara di fine Ottocento, le donne si recavano sulla spiaggia esclusivamente durante la stagione balneare. La discesa delle donne sulla spiaggia dunque, rappresentava per la Comunità l’avvento dell’Estate piena.

[19] Come un amante i suoi baci all’amante è una necessità di mantenimento della rima, altrimenti la declinazione sarebbe stata: “come un amante i suoi baci all’amata”. Gitterò: diffonderò al vento

[20] dalle arene: dalle sabbie, dalla spiaggia

[21] erme: quasi inaccessibili

del vigile martel sulle lamiere

i cozzi, i tintinnï, l’onda sonora[22]

La vita del pensier, tutta la vita

del cuore, sale in un’immensa nota,

profonda, esuberante, indefinita.

Come il cuore e il pensier vasta ed ignota.[23]

O voi felici, cui sopra la fronte

stigma profonda non rimorde ancora

il solco del lavoro, e a un orizzonte

sempre potete dirizzar la prora![24]

Quando di contro a Stromboli vedrete,

nella triste e mortale ora presente,

passar la nave vostra, e sentirete

fresca di nuovo impulso, una corrente

entrar nel sangue, come l’alitare

d’una vita dischiusa alla speranza,

mandate dalla terra a quei del mare

il saluto di pace e fratellanza![25]

Angiola è un sogno, e come il sogno è lieve,

e passa sopra il mar bianca e sottile,

più fragile ed intatta della neve,

più tersa e scintillante d’un monile.

Voi che con lento volo, o messaggere

di morte, procellarie,[26] la guardate

sospese in aria come le bufere

sull’arco delle grandi ali falciate,

voi non potete dalla barca mia,

figlie del temporal, trarre ventura[27]

poi che nel vostro volo è una malìa,

dicono strana, come la sventura![28]

[22] Mille favelle … l’onda sonora: accanto allo spensierato vocìo femminile, il Poeta avverte i suoni dalle mille tonalità provocati dall’opera dell’uomo, come il lavoro del forgiaro intento a battere il ferro col martello, gesto che produce la santa opra canora. Il martello è vigile perché sapientemente adoperato.

[23] La vita del pensier … vasta ed ignota: le sensazioni provocate dalla ragione e dal sentimento, spesso sono indefinite, appaiono incontrollabili mentre sono inafferrabili, e tutto questo insieme intimo, alla fine acquisisce una propria musicalità che è poi la restituzione alla coscienza, delle sensazioni stesse. Questa musicalità così creatasi, è a sua volta vasta e ignota come le stesse sensazioni originarie: ragione e sentimento.

[24] Si riferisce a coloro che hanno la possibilità di scegliere come progettare e vivere la propria vita; quindi è rivolto soprattutto ai giovani che devono ancora affrontare i problemi e i sacrifici che caratterizzano il duro mondo del lavoro.

[25] È il richiamo ai sentimenti della solidarietà e della partecipazione. Chi guarda alla vita con speranza e fiducia, affronterà positivamente le insidie dell’inizio e quando la nave del destino le supererà (di contro a Stromboli vedrete, nella triste e mortale ora presente, passar la nave vostra) la forza del vivere si consoliderà in lui e quindi gli donerà gli strumenti che occorrono per proseguire sempre nella positività, come l’alitare d’una vita dischiusa alla speranza. E quando ciò accade, egli dovrà ricordarsi sempre di chi ancora soffre, di chi ancora lotta per superare le insidie della vita e quindi ancora naviga incerto su una rotta insicura. A loro, egli che è incamminato su un sentiero solido e sicuro, dovrà mandate a quei del mare il saluto di pace e fratellanza.

[26] o messaggere di morte, procellarie: sono le nuvole che preannunciano tempesta.

[27] trarre ventura: trarne vantaggio

[28] poi che nel vostro volo … come la sventura! Il procedere delle nubi nel cielo attrae talvolta lo spettatore e lo incanta, ma si tratta di una malia, una specie cioè di incantesimo, di una “magarìa” strana cioè inusuale, e proprio queste 

Voi solamente, o pallidi, o rosati

soli calanti, o stelle pellegrine,[29]

che dai convessi cieli immacolati

date luce e mistero alle marine,

voi solamente benedir potete

quest’opra intima e dolce, illuminare

questo mio sogno, che protetto avete

dalla mente alla man, dall’alpe al mare.[30]

Donne, cui ride l’occhio, e il labbro ha un trillo

sonante di piacere ogni momento,[31]

venite all’acqua; il mare ora è tranquillo,

e la vela non ha baci di vento.

Io canterò per voi l’inno augurale,

il peana alla vostra gioventù

e a poppa, mentre soffia il maestrale

farò quel sogno che non muore più![32]

 Bagnara, 2 luglio 1899

Il nostro Intellettuale bagnarese non è da confondersi con l’omonimo Francesco Spoleti, chimico ed droghiere di chiara fama che a cavallo fra i secoli XIX e XX, vendeva anche per corrispondenza sul territorio nazionale, un preparato antifebbrile giudicato di buon effetto.


[29] soli calanti è il sole al tramonto; stelle pellegrine: è una trasposizione poetica delle stelle come punto di riferimento per individuare di notte, la rotta per la navigazione.

[30] … dalla mente alla man: è la composizione della poesia; dall’alpe al mare: è la costruzione di “Angiola” nei cantieri e il suo varo a mare. L’insieme costituito dalla volontà, attraverso la quale è iniziata la costruzione del natante, dal sentimento dell’attesa, dall’emozione del varo che ha scatenato nell’animo del Poeta sentimenti tumultuosi e alla fine il risveglio del bene trionfante sul male, è sintetizzato nel “sogno” che è poi il desiderio e insieme la speranza che il procedere della vita avvenga nell’insegna del “bello” totale, cioè della Ragione accomunata al Sentimento.

[31] La Donna è raffigurata come la figura botticelliana che, sorgendo dal mare, annuncia la Primavera festante che mai avrà fine.

[32] Il Poeta intravvede nella figura femminile la personificazione dell’insieme di sensazioni che egli definì sinteticamente come sogno e segnatamente nella espressione giovanile della Donna che sorride allo scenario che dinnanzi a lei si dischiude e che esprime col canto la gioia di assaporare quei momenti felici (un trillo sonante di piacere ogni momento). Di fronte alla scena complessiva: il mare rassicurante, il cielo terso, la spiaggia inondata di sole, il bello dell’arte umana rappresentata in “Angiola” e le giovani donne che finalmente sono scese alla spiaggia per tuffarsi nel caldo piacere dell’estate apportando su tutto la linfa vitale della voglia di vivere, il Poeta va sicuro a poppa a governare la nave che procede tranquilla sospinta dal maestrale e può così affidare al vento il suo sogno come prima spiegato, un sogno che, proprio perché alimentato da tutti gli ingredienti rappresentati nell’Inno, in lui non muore più.

 

Lo specifico antifebrileLo specifico antifebrile