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Sull’uso del Vernacolo, “A passiuni ru Signuri”:

LibriLibriIn merito al titolo della Composizione musicale “A passiuni ru Signuri” del Maestro Panuccio, voglio esprimere alcune mie osservazioni di carattere prettamente linguistico. Tradurre dall’Italiano in lingua vernacolare è come tradurre dall’Italiano in Latino o in Greco antico. Non si tratta  di “trasportare” i suoni del Dialetto come li percepiamo al nostro orecchio e mettere insieme lettere dell’alfabeto come tanti puzzle.

Alla base di ogni Lingua ci sono regole grammaticali e sintattiche che devono essere rispettate, altrimenti, c’è un’accozzaglia di sillabe che non hanno nessuna struttura grammaticale. Mi piacerebbe conoscere integralmente il testo. Mi fermo ad analizzare il titolo:“A passiuni ru Signuri”.

Non entro nel merito della Fonetica perché è fuori contesto e richiederebbe una lunga disamina. Uno studioso del Dialetto (bagnarese) sa che l’accentatura di alcune parole si diversifica tra i vari rioni: Bajetta, Purej, Marineja, ‘Rangiara, etc. Ma, questa diversificazione si può anche accettare. La mancanza di Grammatica, invece, non la si può accettare. Riprendiamo, quindi, il titolo. La traduzione in Italiano è: “ La passione del Signore”. “A” esprime l’articolo determinativo “la” “ru” esprime un complemento di specificazione e la sua traduzione in Italiano è data dalla preposizione articolata “del”, “della”, “dello”, etc.

Se prendiamo, ad esempio, la frase: sono a casa: la mia casa mi piace”, spesso ho letto traduzioni vernacolari del tipo: “sugnu a me casa: a me casa esti bella”. Qui, sono contenuti due errori grammaticali di rilievo. La prima “a” (sugnu a…) esprime un complemento di stato in luogo: sono nella, dentro, la mia casala seconda “a”, invece, esprime l’articolo determinativo “la” . E’ chiaro che il “suono” è lo stesso, ma l’analisi grammaticale è errata.

Siccome stiamo discutendo di “cose” serie, qual è addirittura il titolo di un’Opera musicale, mi permetto di fare un’analisi altrettanto seria. Il lettore deve essere aiutato nella comprensione del testo che sta leggendo, e non deve limitarsi soltanto ad una corrispondenza fonetica della pronuncia: la lettura e l’acquisizione concettuale devono correre in sincronia, altrimenti il lettore di una poesia o di un testo vernacolare viene distratto dal contesto lirico del brano e deve fermarsi per chiedersi se “a” la deve intendere come articolo o come preposizione. Occorre distinguere le due “a”, in modo tale da porgere al lettore il giusto significato di quanto sta leggendo in Vernacolo. Quando si legge, nella nostra mente avviene un’istantanea traduzione concettuale che ci aiuta a comprendere il giusto contesto. A volte, basta una virgola messa male per dare ad un periodo un significato completamente diverso da quello voluto. Allora, per distinguere la “a” da semplice preposizione (che introduce un complemento) ad articolo (la) occorre crearsi uno schema adeguato di simbologia scritturale. Lo si può fare liberamente aggiungendo, inventandosi, un segno tipografico che faccia capire a chi legge un testo vernacolare il giusto significato grammaticale del vocabolo. Personalmente, nel mio libro di Grammatica e Sintassi vernacolare ho voluto distinguere la “a” articolo dalla “a” complemento scrivendo la prima con: ‘â, e lasciando la semplice “a” ad indicare il complemento di stato. Ogni studioso può utilizzare una qualsiasi simbologia scritturale, purché sia evidenziata la dovuta differenza tra le due.

Passiamo, adesso, a “ru”Così com’è scritto, ru non significa nulla. Solo foneticamente è accettabile, ma grammaticalmente non lo è. Ma, qui, devo spendere qualche parola in più. In lingua italiana, la preposizione del è nient’altro che l’unione di :di e lo e viene scritto in lingua come: del; mentre l’unione di e la viene contratta in dellaOra, chiunque s’interessi di Dialetto sa che molto sovente la “d” viene pronunciata e scritta mediante la lettera r, come: rominica (domenica), romani (domani), etc. Passando alla “u” , è noto che essa indica generalmente l’articolo: lo, ilA tal proposito voglio citare due poeti bagnaresi di rilievo. Dal “Canzoniere” del prof. Antonio Gentiluomo, si legge in due versi: na vota si faciva lu pascuni = una volta si faceva la pasquetta ‘u jornu ill’Angilu = il giorno dell’Angelo Come si legge, l’Autore una prima volta usa lu (il) ed una seconda volta, invece, ‘uE, questo, è accettabile: la u viene scritta con un segno di apocope (una specie di elisione posta prima della semplice u). Ancora meglio se ci riferiamo al prof. Achille Bonifacio, eccelso poeta del Vernacolo bagnarese, citando alcuni versi tratti dal suo ultimo libro :” ‘Â paràbbula”. ’â vuci r’â ħjumara bagnarota=la voce della fiumara bagnarese r’î me’ fiġġhj=dei miei figli r’û ħjàuru r’â fasòla pappalluna = dell’odore dei fagioli “pappalluni” etc.

Ho citato questi due maestri di Vernacolo, giusto per dare delle corrispondenze letterarie di prim’ordine. Quindi, secondo la regola grammaticale, se avessero voluto scrivere “del giorno”, anziché “il giorno”, avrebbero scritto r’u e non ru; oppure della domenica: r’â rominica e non ra rominica. So che potrebbero sembrare anche noiose queste precisazioni, ma lo stesso Panuccio sa benissimo che anche la scrittura del pentagramma è guidata in modo rigoroso da una sua “grammatica”. Sa perfettamente, essendo un musicista, che, ad esempio, aggiungendo un punto accanto ad una nota, fa aumentare la durata della semplice nota di metà valore. Non solo, ma, seguendo le note regole di scrittura, il puntino non viene apposto sotto la nota o prima della nota, ma dopo ed accanto alla nota da suonare. Quindi, in base a “come” vuole sentire un suono usa un’adeguata scrittura. Lo stesso avviene nella scrittura vernacolare. Non si possono ignorare le regole grammaticali, altrimenti è uno scrivere con l’orecchio e non con la testa. Ovviamente, ho espresso il mio pensiero liberamente, sapendo che partecipare significa collaborare a che gli argomenti vengano chiariti e sistemati nella loro giusta collocazione, con ponderati giudizi critici.

prof. Pasquale Stillitano