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Notizie di topografia antica sul LEUCOPETRA AKROTERION

LEUCOPETRA AKROTERIONLEUCOPETRA AKROTERIONL’importanza storica del Leucopetra Promontorium o Leucopetra akroterion, come indicato spesse volte dalle fonti di ricerca per il nostro territorio, è stata costantemente sottolineata evidenziandone sia la valenza geografica che questa rupe dalle “rocce luccicanti” ha rivestito fin dalla antichità come evidenziano numerose carte e itinerari marittimi e terrestri sia a livello storico-archeologico, rilevando l’importanza economica, sia a livello sociale per tutto il territorio in esso ricadente.

Forse un po’ meno è stata evidenziata la valenza e l’importanza a livello topografico del promontorio stesso e di alcune sue località sopravvissute nei toponimi locali che ancora oggi persistono in alcune borgate presenti nei Comuni di Motta San Giovanni e Montebello Ionico i cui ambiti territoriali si estendono proprio fin sulla dorsale del Promontorio stesso, denominato solo a partire dal 1562 come dimostra una “carta” allegata ad un “Trattato” redatto da Jacopo Castaldi cosmografo ufficiale della Repubblica di Venezia, dove compare, per la prima volta, insieme a Leucopetra, il toponimo Capo dell’Arme ubicato nei pressi del villaggio di S. Iovanni.

Segni importanti di una storia millenaria che ha lasciato le sue tracce anche nella toponomastica dei luoghi, negli idronimi modificando poi, sempre in base ai fenomeni maggiormente rilevanti a livello storico e sociale anche nell’agiotoponomstica di cui il territorio comunale mottese è veramente ricco.

Andando per gradi occorre subito partire da una prima analisi del nome stesso del Promontorio: Capo d’Armi, Capo dell’Armi o Capo dell’Arme. Secondo uno studio condotto dal famoso glottologo tedesco Gerhard Rohlfs venuto in Calabria con l’intento di studiare la lingua Grecocalabra nel corso del ‘900, il termine sarebbe di derivazione greca e deriverebbe proprio da άρμός=spalla, dorso scosceso, roccia scoscesa, monte scosceso o in pendenza derivazione che si inquadra perfettamente con la morfologia della rupe rocciosa che cade a picco sul mare.

Dopo avere cercato di dare una derivazione al nome del Promontorio stesso, occorre sottolineare quanto già detto in precedenza e cioè che sul Capo d’Armi esistono ancora oggi delle piccole borgate o zone che sotto il profilo toponomastico hanno degnamente conservato la loro carta identitaria rimandando a quel tempo della presenza greca del quale il geografo Strabone ci dice:«La città di Rhegion divenne poi assai potente ed ebbe sotto di sé parecchi altri centri; essa rappresentò sempre un avamposto fortificato nei confronti dell’isola [la Sicilia], sia anticamente sia anche ai nostri giorni, quando Sesto Pompeo indusse la Sicilia a ribellarsi».

Uno dei centri che costellavano la città di Rhegion ai quali Strabone fa riferimento dovette essere proprio Leucopetra lungo la costa, situato sul versante ionico nella grande chora reggina.

Ma il geografo in un altro suo passo ci riferisce anche: «Chi naviga da Rhegion verso levante per una distanza di cinquanta stadi, trova quel promontorio che dal colore chiamano Leucopetra, col quale, dicono, finiscono gli Appennini».

I dati archeologici riferiti al Capo d’Armi fanno una collazione di rinvenimenti veramente importante e degna da essere menzionata perché rimanda, anche sotto religioso, proprio al mondo dei culti della terra, a Δημήτηρ=Dēmḗtēr divinità della religione greca, figlia di Crono e Rea che veniva venerata in questi luoghi al pari di tutta la Magna Graecia parallelamente ad altri culti sempre legati alla terra, genitrice di vita.

Partendo dalla costa, esaminando un vecchia carta IGM 1:25.000 dei primi del ‘900, è possibile notare il toponimo Rahaci, l’odierna Riace fraz. Del Comune di Motta San Giovanni. Tale toponimo, ampiamente diffuso in altre località della regione, deriverebbe dal greco = ρυάχιον, corso d’acqua, ruscello.

Ma è sicuramente risalendo la dorsale di Capo d’Armi ci si imbatte, a livello toponomastico nella cultura ellenica più pura. La prima località che si incontra è Vasì da βάστς= valle profonda, valloncello o gola profonda. In questo caso il toponimo corrisponde perfettamente alla morfologia del territorio. L’area di Vasì sul piano archeologico, ha restituito una serie di elementi di superficie notevolmente importanti quali i resti di un corredo di offerte votive costituito da due statuette in terracotta di incomparabile bellezza stilistica una delle quali portava nella mano sinistra uno scettro, caratteristico attributo della dea Demetra secondo l’iconografia magnogreca; la seconda statuetta stringeva invece un porcellino che secondo i rituali del simbolismo religioso rimandano a Kore.

Nella stessa area di culto furono anche individuati alcuni vasetti, quasi tutti a vernice nera con disegni geometrici; due ariballoi raffiguranti uno la testa di Hermes col pileo, l’altro un pesce identificabile forse con lo xiphias gladiis, il nostro pescespada, la cui pesca come le fonti antiche attestano, era molto praticata nelle acque dello Stretto; una serie di testine femminili, sempre in terra in terracotta con varie acconciature che raffiguravano nella maggioranza dei casi Kore e una bellissima statuetta raffigurante Hermes kriophoros.

Le offerte in terracotta relative alla contrada Vasì sono comunque abbastanza cospicue e raffigurano anche animali domestici: pesci come le anguille, grappoli d’uva e tutta una serie di prodotti agricoli tra i quali spicca un particolare tipo di zucca di forma allungata, molto simile per tipologia a quella presente nella stipe del santuario della Mannella di Locri.

Nelle immediate vicinanze di Vasì, sul versante destro, si rileva una balza con forme tormentate e scoscese, spesso con strapiombi e precipizi denominata Grufò. Ad una analisi, il toponimo Grufò deriverebbe da χρυφός = nascosto, e in effetti osservando la conformazione dei luoghi, l’area di Grufò appare essere una zona più isolata dalle altre, proprio quasi nascosta. Superata questa balza scoscesa, vi troviamo, un breve pendio che finisce in un altipiano chiamato Ambrò = έμπρός “posto davanti” secondo uno studio onomastico condotto da Rohlf. Tuttavia la denominazione di Ambrò potrebbe anche derivare come più probabile se si considerano ancora una volta i dati di natura archeologica, sempre dal greco Αμβρότος = luogo sacro, luogo riservato agli dei. Infatti proprio nelle immediate vicinanze, fu rinvenuta una stele di tipo votivo coeva alle statuine, ascrivibile con ogni probabilità alla fine del V, sec. a.C. sulla cui parte superiore è possibile vedere un incavo che molto probabilmente serviva a sostenere un oggetto in bronzo.

Tale stele portava anche incisa nella parte sommitale un’epigrafe che recitava:

         «Alla dea - Kleìnetos, figlio di Nikomakos, vota la decima parte di qualcosa di suo.»

Mettendo da parte il valore rituale e votivo di tutti gli elementi che compongono la stele in questione, che è sicuramente scontato, risulta chiaro ed evidente che si tratta di luoghi votivi a divinità della terra e dell’agricoltura; la stessa Demetra nella mitologia greca è la dea del grano e dell'agricoltura, costante nutrice della gioventù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni e la stessa Kore era una divinità associata al simbolo della fertilità.

Risulta chiaro dunque che gli abitanti del villaggio di Leucopetra, avendo edificato questi luoghi di culto per venerare queste due divinità e per depositare le loro offerte votive, dovevano essere per lo più agricoltori e contadini, proprio come Kleìnetos e il padre Nikomakos.

Da uno studio epigrafico dell’iscrizione è possibile asserire che si tratta di un’iscrizione posteriore alla Guerra del Peloponneso e anteriore comunque al II° sec. a.C.

Volgendo lo sguardo verso oriente è possibile vedere la zona di Rocca Caloiero = χαλογέρου “monaco” o forse “del monaco”. Tuttavia Calo-Iero come appare scritto anche su alcuni atti notarili indicanti alcuni terreni in quella zona, potrebbe provenire da χαλόν ίερόν e potrebbe indicare proprio un significato differente per ogni singola parola e indicante un piccolo santuario o tempio che doveva sorgere sulla collina. Nelle immediate vicinanze una frazione chiamata ancora oggi dagli abitanti locali Ciurca o Hiurca = φρούριον cioè fortezza proprio come si presenta la zona interna alla valle Molaro, simile ad una fortezza da espugnare. Proprio in quest’area durante una ricognizione di superficie effettuata nei primi anni del ‘900 emersero alcune fondazioni di un edificio rettangolare, di struttura scistosa avente negli spigoli un masso tagliato ad angolo retto con un’area di dispersione molto vasta che ha restituito numerosi cocci di anfore semplici a vernice nera.

Nella stessa zona vi troviamo la contrada che gli abitanti del luogo chiamano Rungi. In questa zona, sotto il profilo archeologico sono state rinvenute una serie di plinti in pietra arenaria, circa 9, connessi ad una serie di muri longitudinali con un piccolo atrio simili ad un impluvio.

Sul versante opposto invece, in area sommitale vi troviamo la zona di Praca dal greco πλάxα = pietra; si tratta infatti di un’area disseminata di tanti blocchi rocciosi a forma piatta. Tale toponimo è anche notevolmente frequente in Grecia come a continuare un legame indissolubile tra noi e i greci dai quali giunse nel tempo della storia la “grande identità” che ancora il nostro territorio conserva.

                                                                                                                                           Prof. Saverio Verduci