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Discarica di Melicuccà: l'insostenibile leggerezza dell'inevitabilità

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di Gianmarco Iaria
 
 
 
 
 
 
 
«Tanto la riaprono comunque». Il refrain, fra scoraggiamento e disillusione, che si ripropone ogni qualvolta per strada, ai tavolini dei bar, fra addetti ai lavori si parla della discarica di Melicuccà, è più o meno questo. «Tanto la riaprono comunque». C’è un sottile sentimento di rassegnazione che pervade gli abitanti di queste terre mitiche, tale da non riuscire a non percepirle anche, queste stesse terre, come maledette: maledette a non poter aspirare ad un briciolo di progressione in avanti, maledette a non potersi vedere degnamente rappresentate e non poter vedere degnamente rappresentate le proprie istanze e i propri bisogni. Maledette a vedersi passare sopra la testa un destino che le vuole vinte, e che quindi vuole noi in quanto abitanti, vinti, verghianamente parlando.
 
A Reggio non ci si indigna più, ormai: in provincia, non c’è mai stato nemmeno lontanamente il rischio di farlo, fra strade che esplodono sotto il peso della pioggia e lasciano pezzi di montagne sventrate, fra autostrade fatte esplodere sopra la nostra testa e tonnellate di materiale lasciato colare poco alla volta da monti, pioggia e torrenti a bloccare ponti, far deragliare treni, fare investire macchine lungo un’arteria che per un territorio è vita e che, per quasi un decennio, ha rischiato di essere la Strada della Morte n. 2 in provincia. La Statale 18. Quella stessa Statale che oggi, secondo qualcuno, da litoranea di un paradiso viola incastonato fra mare, cielo e monti dovrebbe diventare il sentiero per la fila indiana di camion della monnezza, che a Melicuccà andranno a sversare. «Sito di stoccaggio di ecoballe di rifiuti già trattati non pericolosi» è un format difficile da non far passare come un tentativo di indorare la pillola: è una discarica, ci vanno i rifiuti, si agisce in somma urgenza oggi per «ecoballe di rifiuti già trattati» ed in somma urgenza domani si potrebbe agire per rifiuti di altro tipo, o l’attenzione potrebbe calare, potrebbero andarci a finire non solo rifiuti «non pericolosi».
 
Che poi cos’è un rifiuto «Non pericoloso»? Un rifiuto che non puzza? Un rifiuto potenzialmente non inquinante? Un rifiuto che non cammina sulle ruote dei camion che inonderanno quotidianamente le terre sulla nostra testa? Terre da cui arrivano l’olio, i pomodori, le zucchine che ci portiamo in tavola. Da cui arriva l’acqua, sorgente di vita che può diventare sorgente di morte, se ammorbata da veleno. Selenio, ferro, manganese, piombo, benzoantracene; due le fonti inquinanti già presenti in loco, come già accertato nel piano di caratterizzazione ambientale del 2018. Un rischio di inquinamento per le falde acquifere «non accettabile»; dati ribaditi dallo studio del Cnr dello scorso anno. Mi perdoni, sindaco Carmelo Versace: ma viene molto, molto difficile non pensare che si stia cercando di perseguire la soluzione più semplicistica, e tanti cari saluti alla salubrità del territorio e delle sue componenti essenziali. La logica che emerge è: c’è già un sito individuato come discarica, si “adegua” la seconda vasca e si riapre. La prima vasca è già inquinata? Vabbè, si bonifica, magari con calma, ma intanto si riapre. Con buona pace per i litri d’acqua, che scorrono sotto un territorio già inquinato, che quotidianamente vanno a rifornire delle intere comunità. Si dirà: la logica del “Nimby”. Sì. Chissà perché, però, la critica vien bene solo quando il “back yard”, per l’appunto, non è il proprio. Si immagini, ad esempio, che la Città Metropolitana avesse sede a Rosarno, e il sindaco di Rosarno decidesse di aprire una discarica a ridosso della diga del Menta (a proposito, lì la discarica “abusiva”, è stata bonificata?).
 
Che cosa direbbe lei? Che cosa direbbero le associazioni della città di Reggio Calabria? Che cosa direbbero i cittadini della sua città, sapendo della prossima apertura di una discarica a ridosso di un’infrastruttura fondamentale per la loro stessa sopravvivenza? Che cosa ne è, poi, dell’unità dei territori, che si sono trovati in piazza insieme, con voi amministratori in testa, per protestare contro una sanità a singhiozzo, e poi su altre questioni, di altrettanta, fondamentale importanza per il territorio, finiscono preda di interessi particolari e contingenti, a discapito degli altri? Ci pensi, sindaco. Ci pensi e decida. Perché di luoghi in cui aprire impianti all’avanguardia e perfettamente a norma, ce ne sono a iosa. E forse ripetere gli errori del passato, senza nemmeno aver preventivamente corretto quelli già commessi, è diabolico. L’inevitabilità, che ammanta ad oggi il dibattito sulla riapertura de “La Zingara”, ha un’insostenibile leggerezza per i territori interessati. Territori che provano faticosamente a mettere la testa fuori, a inseguire un futuro troppo spesso promesso e disatteso. Un futuro che rischia di finire sepolto sotto tonnellate di rifiuti. Ah, no, già: «ecoballe di rifiuti già trattati».
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